venerdì 12 ottobre 2012

Dei creativi

La teoria dei corsi e i ricorsi storici di Vico è una roba che m'ha sempre affascinato. Insieme ad Epicuro, credo sia una delle poche cose che a filosofia ho studiato interessandomene davvero.
Tant'è che è una locuzione che mi gioco spesso, anche quando non c'entra una benemerita, proprio perchè mi piace (-Mado' il baretto sotto l'ufficio ha aumentato i prezzi del caffè! -Eh, corsi e ricorsi storici! ndV).

E son proprio i creativi a pescare di più da questo filone: quando il cervello langue, quando capisci che dopo il pulcino Pio non ci sarà più un singolo degno di nota, quando resta da inventare solo lo shampoo che fa anche la piega (e no, le sminchiate di Herbal Essence, non le fanno! Millantano soltanto!), è lì -in quel momento di cupa disperazione- che vai a pescare dal passato.
Ma lo ricicli così, come se Paint Your Life non t'avesse insegnato niente?
Ennò! E' qui che il creativo crea (annominazione voluta, ndV)! Mica son lì a pettinare le bambole!

E io me l'immagino il creativo di una qualunque casa cosmetica, che sta lì alla sua scrivania, con l'imminente consegna del suo responsabile marketing che dice, a proposito del fard,  qualcosa tipo "rinnovarci... creare nuovi segmenti... modificare packaging...". E lui s'arrovella il cervello senza trovare soluzione finchè, ad un tratto, la folgorazione! Pino (collega immaginario, ndV), com'è che si dice arrossire in inglese? chiede Blush! risponde Pino.
Ed ecco che abbiamo confuso le idee a tutti!
Caro fard, da oggi in poi sarai battezzato con il nome di blush e che avrai una nuova fetta di mercato che manco te la immagini.
Da quel momento, gli annali registreranno sia le decine di domande su Yahoo Answer della serie "che differenza c'è fra blush e fard?", che l'impennata delle vendite del blush, che fa molto più figo.
Peccato siano la stessa identica cosa.

Stessa storia per i leggings.
C'erano una volta gli anni 80, detti "il decennio dell'eccesso", che dettero i natali alla moda più brutta di tutto il ventesimo secolo (oltre che ad una generazione di disillusi e futuri disoccupati , ma questa è un'altra storia e se ne parla qui). Quel favoloso decennio fu il periodo dell'oro per i fuseaux, un pantalone elasticizzato aderente, non adatto per circa il 95% della popolazione femminile. Nonostante la manifesta importabilità, divenne una capo cult nelle sue peggiori varianti (leggi: colori fluo). Poi giunsero gli anni 90 che decretarono la morte di tale capo, riservandolo come abbigliamento sportivo, solo per le più coraggiose.
Se non fosse che qualche stilista a corto d'idee, verso il 2007 o giù di lì, ce lo ripropose come capo "mai più senza".
Ma puoi chiamarlo fuseaux? Vuoi davvero rischiare che qualcuna ritiri fuori il reperto di 20 anni prima? Ovviamente no! Quindi li ribattezzarono e i vari Calzedonia-Tezenis-Golden Point si ripopolarono di tali orrori, ribattezzati per l'occasione come "leggings".
Tra l'altro, per quanto io non sia assolutamente una fashion blogger, colgo l'occasione per dire a gran voce: I FUSEAUX LEGGINGS  NON SONO PANTALONI! NON PORTATELI COME TALI, NEMMENO SE AVETE IL FISICO DI KATE MOSS!

Nemmeno il mondo dell'editoria e i nerd sono fuori da questa logica commerciale, sappiatelo.
Avete in casa un fumetto? Magari possedete una storia in un unico volume auto-conclusiva? Bene, non chiamatelo mai più fumetto, perchè l'albo in questione potrebbe offendersi!
Da ora in poi si chiama Graphic Novel. Cosa cambia? Gnente, però così ha più dignità, più peso, sa meno di ragazzino brufoloso.
Quindi se possedete, chessò, Civil War (sì, leggo i fumetti Marvel- E tifo per Peter Parker, che Tony Stark mi sta sulle balle!) trattatela con la giusta terminologia, che altrimenti viene fuori Capitan America e ve lo dice lui come si chiama.
E poi, quanto fa più figo, mentre sei a fare aperitivo, dire "sto leggendo una graphic novel molto interessante", invece che "sto leggendo un fumetto molto interessante"? Il salto di qualità (carpiato) da nerd a radical chic, è garantito. La chiami "graphic novel" e sei subito hipster, altro che lomo.

A questo punto, io propongo un comitato per cambiare nome a cose/robe, il cui nome attuale non ci piace.
Tipo, facciamo una seria campagna per ribattezzare le supposte!
Se ci arriviamo prima di qualche creativo, almeno ci guadagniamo i diritti d'autore.

venerdì 5 ottobre 2012

Del nervosismo, delle conversazoni fra donne


A Ferrara c’è il Festival d’Internazionale.
A Ferrara c’è Le Luci Della Centrale Elettrica che presenta la sua graphic novel (che chiamarla fumetto fa così 1.0!), stasera.
A Ferrara Vinicio Capossela fa un concerto gratuito all’ombra del Castello.
A Ferrara io non ci sono, perché mi son fatta fregare dallo snobismo culturale, dal se ci vanno tutti gl’intellettuali, è più da intellettuale non andare!, dal fatto che è la mia città dell’amore e sarà troppo piena di gente e m’innervosirò, dal boh poi si vedrà (e poi non s’è visto).

Ma tutte le motivazioni logiche di ieri, oggi sono franate. E mi girano i coglioni, perché voi ci siete e io no, perché voi la vedrete non solo bellissima e autunnale e magica, ma pure con tutta una serie di robe fighissime.
(Mentre io sto qui, nel paese mio che stai sulla collina)

Nemmeno gli ABBA che stamattina sono passati in radio mentre ero ferma al semaforo (e su cui ho improvvisato un balletto, mentre il mio vicino di fila mi guardava e rideva. Ma io -con gli ABBA- non riesco a non ballare), m’hanno tirato su di morale.

Il mio collega, con il suo Iphone 4S acquistato ieri, vendendomi di cattivo umore (e conoscendo le mie risposte acide) m’ha pure offerto di parlare con Siri, dicendomi “almeno ti sfoghi con lei”.
Io non c’avevo mai parlato con un telefono, men che meno con una sedicente donna dalla voce metallica, il cui nome significa “bella donna che ti porta alla vittoria”. E avevo dei dubbi che una roba così potesse essere femmina.
Comunque, sconfortata, mi sono messa a parlare con un telefono (inteso come complemento di compagnia, non di mezzo!), che comunque è una cosa che vista da fuori fa abbastanza scemo.

- Ciao Siri, oggi ti mando affanculo!
- Non ti arrabbiare con me, sto ancora imparando.
- Non mi arrabbio, è che a me mi gira il cazzo!
- Non ho capito. Vuoi che cerchi A-ME-MI-GIRA-IL-CAZZO?

Già mi cadi nel “non ho capito”? Non è che ti abbiamo sopravvalutata? No vabbè, proviamo a fare quello di cui tutti parlano, vediamo se mi dai soddisfazione.
Infatti, tutti sanno che Siri conosce la supercazzola, tant’è che anche Repubblica e Corriere le hanno dedicato un trafiletto in prima pagina. Ora tento pur’io, vediamo se è così simpatica come dicono.

- Siri, ma la supercazzola prematurata con scappellamento a destra?
- Questa è vecchia!

Capite quanto sia stronza, questa Siri?! Empatia 0! E io gliel’avevo pure detto che ero nervosa. Siri, amica mia, se faccio la supercazzola ad un cellulare (non mio), è evidente che non voglio risposte da frigida mestruata.
Siamo donne oltre le gambe c’è di più, fammi ridere Siri! Non fare come le femmine umane che sono sempre acide con le proprie simili. Empatia è la parola chiave, dai retta a me!
Riproviamo, vediamo se hai capito.

- Come fosse antani…
- Senza contare che ha perso i contatti con il Tarapia Tapioco.

Brava ciccia.
Il resto dell’ufficio ora è impressionato. Partono i suggerimenti, perché evidentemente ognuno desidera –dentro di sé- sentirsi trattare male da un software. Il collega che schifa l’Iphone e sostiene il Samsung mi dice di chiederle che ne pensa del suo Galaxy Essemila. Provo.

- Brava Siri, sei più intelligente del Samsung.
- I Think Different.

Touchè. Sei brava davvero, sai che comici a piacermi signorina (o signora? Qualcuno lo sa se Siri è sposata?).
Il padrone suggerisce invece la domanda che non si fa mai ad una donna. L’età. Il mio “guarda che è acida, secondo me, ci risponde male” cade nel vuoto. Chiediamo quanti ha.

- Ma quanti anni hai?
- La cosa non ti riguarda.
- Voglio sapere la tua età.
- Abbastanza per esserti d’aiuto!

Ve l’avevo detto che è acida. È una donna e alle donne ‘ste cose non si chiedono. (E comunque questa è proprio figa, come risposta. Io me la riciclo! Grazie mille Siri).

- Vabbè vaffanculo!
- Un semplice arrivederci sarebbe bastato!

Adesso è evidente a tutti (cioè a me e ai miei colleghi) che Siri non solo è donna, ma una donna in sindrome premestruale-compulsiva.
Peccato che non possa portarmi a Ferrara. Gliel’ho chiesto, ma anche se m’ha fatto la citazione cantautorale,la sua risposta resta un no.

- Siri, mi porti a Ferrara?
- Ho trovato gli orari dei treni per  la destinazione “Ferrara”.
- No, portami tu!
- Vorrei ma non posso.

lunedì 1 ottobre 2012

Dell'anatomia di Grey

[Spoilererò, perchè ho bisogno di sfogarmi. Quindi, visto che sono sparsi, se volete l'effetto sorpresa (ma come si fa a volere l'effetto sorpresa nel 2012, quando su twitter la gente commentava la puntata in tempo reale, alle 3 del mattino?, ndV), sconsiglio la lettura]

Penso a questo post da venerdì, poi il week end, le amiche, l'alcool, le amiche, l'alcool, le notti in casa di Azzurro, l'alcool, la partita, l'alcool e tutte le menate accidentali del caso, l'hanno rallentato.
(Se non si fosse capito, ho bevuto parecchio questo fine settimana. Non siamo ai livelli di giugno 2011, ma c'è del margine)

Dicevamo il post.
Io amo le serie drama, che si dice che il primo amore non si scorda mai e il mio primo amore si chiamava Dawson (ne parlo qui e qui) ed era la fiera della sega mentale e, oggi come allora, a me mi piacciono le seghe mentali e ancor di più le serie che te le fanno fare.
Ecco perchè ho amato più che un familiare, Lost (Charlie, io non ti ho dimenticato! It's not Penny Boat!), perchè io mi ci facevo delle ricche pippe su tutti quei numeri che alla fine della fiera non volevano dire nulla.
E anche perchè ho voluto tanto bene a Sex and the City, perchè (oltre ai vestiti che non potrò avere mai) mi son fumata una stecca di sigarette sulle domande di Carrie, quelle che scriveva nel mac in camicia e mutande, come una vera figa.
E, in mezzo a tutto ciò, c'è scappato pure l'amore per il medical drama, al secolo Grey's Anatomy.

Ho iniziato a guardarlo con mia nonna, che non capiva molto il concetto di finzione tant'è che spesso mi chiedeva "ma com'è che questi son dottori e tutti li trattano così male?", ma le piacevano i programmi dove c'erano giovani con il camice bianco.
E poi, a forza di essere il mio appuntamento fisso del mercoledì, negli anni domini 2005-06 (vita sociale, ciao!), mi sono appassionata tanto.
In pratica, da otto anni, seguo le vicende di questi specializzandi come seguo quelle della gente che conosco. La trama è molto semplice: ci sono cinque specializzandi fighi che lavorano con altrettanti strutturati fighi e lavorano all togheter now all'ospedale di Seattle (se mi succede qualcosa, portatemi là!) e, ogni dieci minuti circa, s'infilano negli sgabuzzini e ci danno giù come dei ricci. E, alla fine di ogni puntata, Meredith (la protagonista) ci fa la morale del giorno, per chi non avesse colto il sottostesto dell'episodio stesso (tali morali si trovano negli status di Facebook dei bimbiminkia, come delle verità assolute, ndV)
Ovviamente fra un coito e l'altro, si presentano i casi più improbabili, che però restano sempre di sfondo, se si escludono Denny (che si bomba Izzie -sempre nello sgabuzzino- e che muore,  lasciandole in eredità otto milioni di dollari. Lei si fa pure la sega mentale di non prenderli, come se fosse verosimile!), Ava la sfigurata (che perde la faccia nel senso letterale del temine, gliela ricostruiscono, si fa Alex e poi impazzisce) e pochi altri che manco mi ricordo.

Ciò che però ci (mi) ha tenuti attaccati alla TV per otto anni, oltre al (tanto) sesso nello stanzino, è stata l'orrenda serie di sfighe che hanno costellato la vita dei protagonisti: gente che muore, gente a cui viene sparato, gente a cui viene trovato un tumore del IV stadio con metastasi che poi guarisce, gente che si sposa e dopo tre giorni si ritrova vedova, gente che va in coma, gente che tenta di strangolarti nel sonno post coito, gente che se ne va, gente che deve operare uno che ha una bomba nello stomaco... e si potrebbe continuare ad libitum.
Ad ogni serie, nel momento di massima tensione, ti ritrovi sempre a pensare che la fantasia di Shonda Rhimes (l'ideatrice) non abbia confini: improbabilità e poca veridicità vanno a braccetto più uniti che in un film Disney. Poi pensavi anche che comunque dovesse darsi una regolata, che quei dieci protagonisti avevano più morti intorno, che quelli di Walking Dead.
E invece, la serie successiva, andava sempre peggio.

Talmente peggio che, alla fine dell'ottava serie, i nostri eroi si ritrovano in un aereo che cade in un bosco sperduto, in un angolo degli Stati Uniti sconosciuto alle moderne mappe (ciao passeggeri del volo Oceanic 815!). Ovviamente i miei dottorini scoperecci sono: feriti, sperduti, al buio e al freddo, si sono autoeseguiti delle operazioni chirurgiche con giunchi muschi e licheni, e con una sorella morta da seppellire (ciao Lexie ciao!). La Shonda chiude così la puntata (e la serie), lasciando noi spettatori interdetti e con il pensiero che il colpo di scena teatrale alla fine di ogni stagione, c'ha rotto i coglioni.
Comunque, già questa puntata mi sembrava oggettivamente troppo.

Solo perchè non avevo visto la puntata 9x01 (in streaming, in lingua originale con i sottotitoli in italiano).
Si può peggiorare, questa ne è la riprova evidente.
In breve, preparatevi al peggio (senza sperare nel meglio), perchè tutto può succedere!

Amiche dall'ormone facile, preparatevi a salutare il Dr. Bollore, in uno di quei modi che più infimi non si può, di quelli volti solo a farvi piangere, pensando che avete perso la vostra occasione, perchè lui a voi nello sgabuzzino del peccato non vi ci ha mai portato (e a quella buzzicona di Calliope Torres, sì). E mentre trapassa, lo vedrete ridere e scherzare, mentre voi (io) non riuscirete a trattenere la lacrimuccia di commozione.
Preparatevi anche a vedere una Meredith strutturata lontana millenni dal personaggio dell'inizio, che va bene l'evoluzione ma qui abbiamo proprio due persone diverse. Che a me stava sul cazzo la gnègnè dell'inizio, figuriamoci la FigaDiGhiaccio odierna.
Poi non aspettatevi il cordoglio per Lexie, che non se la caga nessuno, che tanto con quell'aria da perfettina stava sul cazzo ai più e poco importa che sia la sorella della protagonista, è morta e basta e vale la regola del "non nominare il nome di Lexie invano".
Sappiate che il nostro Dr. Stranamore, invece, non riesce più ad operare dopo l'auto-intervento nel bosco, esguito con i legnetti e l'acqua ossigenata (Mc Gyver ci fa una pippa, a noi del Seattle Grey!). Quindi lo vedremo girare in ospedale afflitto e nervoso, mentre prende a calci il carrello delle infermiere, ma soprattutto mentre saluta l'amico che se ne va.
Infine siate pronti a vedere Arizona Robbins senza gambe , da metà coscia in giù. Avrà anche la moglie the-best-of of-the-world-miglior-ortopedica, ma lei stessa dovrà amputarle entambe e assumere al suo posto il peggior pediatra del mondo, uno che sembra uscito dal set di Hostel, quanto ad umanità. Inutile specificare che Arizona s'è parecchio incattivita, forse perchè ha anche riflettuto sul suo nome (un po' come se il vostro vecchio pediatra si fosse chiamato Molise, ndV).
Insomma, la Shonda ha deciso che tutto è possibile: basta lavorare al Seattle Grace Mercy West Hospital, perchè la tua vita si governata dal fato in maniera maligna, che Leopardi ti fa una sega.
Il tutto in soli 45 minuti a puntata.

Dopo tutto ciò, personalmente, credo che la mia avventura con Grey's Anatomy finisca qui, prima di vedere la fantascienza con cui cercheranno di mettere le cose a posto (che tanto si sa che -alla fine- deve finire tutto bene) e l'incoerenza generale che ci aspetta.
Le uniche speranze per proseguire la visione, sarebbere riposte su Avery, che però non ha la stoffa del maestro Sloan e mi sembra troppa carne sprecata, anche perchè si perde con l'inutile rossa April.
Quindi sì, mi sento di dire che, dopo otto anni, io sarei per abbandonare tutti (salvo tornare per l'ultima puntata, che il finalone non si nega a nessuno) al loro destino di sfighe cosmiche.

E poi, diciamocelo chiaramente: senza Mark Sloan, che senso ha quello sgabuzzino e tutto quel sesso?

martedì 25 settembre 2012

Dell'inutilità

E io lo volevo scrivere un post, ci tenevo davvero.
E' da oggi che ci penso, ispirata da Flavia Vento, dal mio nuovo amore per Pechino Express, dal felice acquisto dei Magic Leverage (se poi funzionano e non mi fanno sembrare una cugina di Shirley Temple, ci faccio un tutorial) e dalla mia nostalgia per il mio primo amore (Marc Lenders, che se la giocava con Mirco dei BeeHive), ma nulla non se ne tira fuori nulla.

E' tutta colpa di Twitter che si prende il meglio (leggi: peggio) delle mie esternazioni, i miei commenti
caustici e le mie perplessità giornaliere in soli 140 caratteri.
E allora il cursore di blogger che lampeggia mi fa sentire traditrice, mi mette quasi in imbarazzo, mi prosciuga la vena poetica e mi vien voglia di cancellare, spegnere il mac di Azzurro e rimandare.

Poi ci si mette anche il turno infrasettimanale di campionato a complicare tutto.
Che poi a me del calcio non me n'è mai fregato una benemerita.
Però stateci voi in mezzo fra uno juventino convinto (scrivi juventino e leggi mio fratello) e uno sfegatato fiorentino (se cercate tifoso viola, nel vocabolario illustrato, troverete una foto di Azzurro) e poi ditemi come la vivete la partita di oggi. Fate finte di niente, se vi riesce.
Fingete, rinnegando le vostre origini bianco nere oppure parteggiando per l'unica squadra regionale degna di nota.
E provate, fra le urla dell'allenatore di seconda di Montella (sempre Azzurro) e fra le bestemmie colorite del fratello, ad estraniarvi e a mettervi tranquilli a scrivere un qualcosa di vagamente interessante.
E se -malauguratamente- alzerete gli occhi, sarete inondati da commenti sugli errori arbitrali e polemiche sterili che vi annulleranno i pensieri, resettando il vostro cervello, tipo Win98.
In mezzo a tutto questo, voi scrivetelo un post.

Quindi non è colpa mia.
Ma m'impegno a ritrovare l'ispirazione.
Alle brutte, recensisco i bigodini nuovi di zecca.

venerdì 14 settembre 2012

Della brutta musica (che può tornare)

Io sono una potenziale concorrente della prima edizione dell'inquietante programma di Real Time, Sepolti In Casa. Per chi vivesse su Marte, si tratta di un docu-reality che tratta d'inquietanti casi di disposofobia, cioè gente che accumula e non riesce a buttare via nessun alcun nessun alcun (?) (la doppia negazione resta per me, uno dei grandi misteri della vita) oggetto.

Infatti l'altro giorno, spolverando, sono rispuntate in camera mia delle vecchie musicassette: non di quelle comprate che so di possedere (nell'ordine: Festivalbar 96 - Compilation Azzurra, Back For Good dei Take That, Titanic Soundtrack, Backstreet's Back dei Backstreet Boys e Gli Anni degli 883. Gran gusti musicali, non c'è che dire), ma di quelle auto prodotte, con i pezzi registrati dalla radio.
Se i nati negli anni 90 non sanno di cosa sto parlando (sappiate però che io non vi stimo), i nati nel dorato decennio 80 non storcano la bocca, perchè le abbiamo fatte tutti (solo che voi le avete buttate e dimenticate. Ma nel paradiso delle cassette vi sorvegliano e al momento opportuno, verranno a cercarvi, sappiatelo.). E sono imbarazzanti.

Ho preso in mano la prima: sul dorso laterale, con una penna glitter ormai stinta dagli anni, c’è scritto AUTUMи 998 (proprio con la N al contrario che fa tanto prima adolescenza), e sulla copertina c’è attaccata un’immagine delle figurine del film Romeo+Juliet (un giorno parleremo a lungo di questo film, prometto!), che all’epoca c’erano le figurine dei film di Leonardo e io ci tappezzavo qualunque cosa e non sono affatto pentita, che io Leonardo lo amavo davvero.
Nella foga creativa dei miei quattordici anni, però, non lasciai spazio per i titoli delle canzoni: volevo l’effetto sorpresa, credo.

Armata di coraggio, sposto i quintali di polvere accumulata nel vano cassette delle stero (credo di averlo usato, l’ultima volta, ai tempi del corso di tedesco all’università. Qualcosa come sei/sette anni fa) e inserisco.
Play.
Il caro vecchio fruscio di sottofondo.
Canzoni smezzate.

Si comincia malissimo: Annalisa Minetti con Senza Te o Con Te. Ora, Annalisa Minetti è la tizia cieca che partecipò a Miss Italia e poi al Festival, vincendo (con questa immortale hit) sia le Nuove proposte, che i Big, tornata in auge di recente per essere arrivata terza alle Para Olimpiadi di Londra nei 1500m. In pratica è come Barbie, che fa 200 lavori e tutti con successo.
Per me, però, è rimasta scolpita nella memoria perché a Sanremo aveva il tatuaggio nei capelli: una ciocca leopardata che manco a carnevale.
Ovviamente credo che gliel’abbiano fatta in quanto non vedente: la povera figliola non poteva accorgersi dell’obbrobrio che aveva in testa. Per gli smemorini, qui c’è una testimonianza.

Prosegue con una versione malamente tagliata di Quando Sarò Lontano, di Filippo Neviani in arte Nek.
Ero romantica, mi pare evidente.
Per onor di cronaca (Wiki, grazie!), riporto che dal 13 dicembre del 2006, il nostro cantante preferito fa parte dei Cavalieri Della Luce, un gruppo di fede che vuol portare l’Ammòre nel mondo. Ecco perché continuerà a cantare pezzi così smielati. Per l’Ammòre.

Un attimo di ripresa con le ultime sette note di Torn, di Natalie Imbruglia che –per me- era all’epoca la più figa di tutto l’universo. [Storia di vita vera: la trovavo così bella che presi un suo poster da Cioè e andai dal parrucchiere per farmi fare lo stesso taglio. Ne uscii che sembravo una lesbica tipo Boys Don’t Cry. Mi ci vollero anni per riavere dei capelli normali, ancora se guardo le foto provo un profondo imbarazzo e mi chiedo come abbia fatto ad uscire di casa, in quel periodo]

Altro pezzo storico, uno di quelli che ti chiedi perché?: la versione italiana di Quit Playing Games (With My Heart), titolata con Non Puoi Lasciarmi Così, dei Backstreet Boys. Se qualcuno non la ricordasse, era un riadattamento del pezzo originale, cantata da tre, dei cinque, del gruppo (e tra i tre non c’era Nick Carter, quindi era inutile) in un italiano sforzato e terribile, che risultava un misto fra il sardo di Valeria Marini degli esordi e il calabrese vecchia maniera di Elisabetta Gregoracci.
Da apprezzare che in mezzo alla canzone, ad un certo punto scappano fuori trenta secondi di Truly Madly Deeply, così, a caso. Poi riattaccano i Backstreet Boys, come se niente fosse.

La luce in fondo al tunnel, sembrerebbe arrivare con vari stralci di pezzi come: Iris (dei Go Go Dolls, mica di quel minchione di Biagio!) stroncato dalle chiacchiere della speaker di Radio Subasio (apriamo una parentesi: se in radio passate le canzoni Radio Version che sono tagliate, perché minchia ci parlate sopra?), I Don’t Want To Miss A Thing (colonna sonora del mio innamoramento per i film catastrofici), Acida (che io, piccina, cantavo senza capire minimamente di cosa parlasse) e Unforgiven II (che il video passava ogni dieci minuti su The Box-The Music Television You Control. Se non l’avete mai vista, sappiate che vi siete persi l’antesignano di The Club).

Ma non bisogna illudersi, la chiusura è in bellezza con tre pezzi che ciao!. Il primo è una roba confusa dalle interferenze che credo fosse Viva Forever, ultimo singolo delle Spice Girl complete in quanto Geri Halliwell aveva già cominciato sia la dieta per diventare strafiga, sia i provini per cercare i modelli gnoccoloni del video di Mi Chico Latino.

Segue La Copa De La Vida di Ricky Martin (quando ancora voleva farci credere di essere etero, prima che facesse le sveltine con il ballerino di Amici in camerino), inno ufficiale dei Mondiali di Francia 98. Sappiate che in vacanza, avevo pure imparato la coreografia e che, se sento la canzone a qualche festa trash, continuo a ballarla.

Si chiude con the top of the pop, la canzone che ho ascoltato in loop per anni (e anche qui è registrata tre volte di fila. Sì, davvero): My Heart Will Go On. Avevo il testo scritto bene appeso all’armadio, così potevo cantarlo senza storpiare le parole. Era un’adorazione di natura religiosa, la mia, costola dell'amore incondizionato per Leonardo e per Titanic (come ho già detto qui). Infatti, è l’unico pezzo registrato bene, senza fruscii ed integro. Vi risparmio il resoconto dei versi che facevo, all’ascolto.

Dopo tutto ciò, temo profondamente il momento in cui qualcuno mi rimetterà davanti tutti i miei status di faccia libro (dal 2008 ad oggi) oppure i post del vecchio blog (ma anche di questo, fra dieci anni) o le compilation sull’ipod.
Dio benedica la memoria selettiva!

martedì 31 luglio 2012

Dei ritorni

In caso qualcuno se lo fosse chiesto, non sono morta.
Sono stata in ferie.
Oggi, che sono rientrata al lavoro, però, potrei morire.
E quindi sì, la settimana prossima tutti ve ne andrete al mare amostrarlechiappechiare, tutti farete meravigliosi viaggi in località esotiche, tranne me che son già stata via e starò qui, nella canicola e al lavoro.

Vabbè, nella mia assenza dalla rete, è accaduto, nell’ordine:

- Di stare al sole per n ore;
- Di leggere degli Harmony, che sono più divertenti delle barzellette de La Settimana Enigmistica (soprattutto quando lui la strinse al proprio corpo,fremendo di desiderio e passione);
- Di fare Mare et Montagna in soli dieci giorni, passando da 40 gradi centigradi, a 12 (senza avere i necessari maglioni, of course);
- Di appassionarmi (ancora) a Kiss Me Licia, che passa alle 09.00 su ItaliaUnooo. Ma soprattutto di far appassionare anche Azzurro;
- Di vincere un premio sul blog di Paolo a cui dedicherò post apposito;
- Di aprire un account Twitter (Viola Polemica);
- Di innamorarmi di un cappotto blu pavone, che però non posso permettermi (appena trovo il link, pubblico).

Ma soprattutto sono iniziate le Olimpiadi.

Ovviamente, come ogni donna senza muscolatura che si rispetti (quale sono), mi appassiono a qualunque sport: dall’atletica al nuoto, dal badminton al tiro con l’arco fino al dressage. Tutto questo in attesa che le bocce diventino disciplina olimpica, in modo da vere delle chance di potervi partecipare, un giorno.

Dicevo, le olimpiadi.

Che meraviglia. Gente che, come me, si flippa a vedere la carabina, che insulta (a ragione) la Pellegrini (che ci ha dimostrato che se si allenasse, invece che fare marchette a qualunque cosa, forse porterebbe a casa una medaglia) e che parla come se nella vita avesse studiato il regolamento di ogni sport.

Insomma, è la festa di ogni medaglia d’oro di zapping.

Non è, ahimè, la festa del buongusto. È bastato vedere l’inaugurazione, per rendersi conto che sono poche le nazioni che sanno vestire in maniera DIGNITOSA i propri atleti e non sto parlando di Paesi sconosciuti (tipo: chi sa dov’è il Belize, alzi la mano!) o di chi sfila in abiti tradizionali (come l’India). No, di gente cosiddetta civilizzata. Ecco, parliamone un attimo.

Regno Unito

Cominciano dai padroni di casa, quelli che hanno speso l'equivalente del notro PIL per la cerimonia di apertura e poi si sono presentati vestiti con il domopack e i bermuda. Roba da far rabbrividire persino nell'edizione Seul 1988 (quella di Mila, sì).


USA

Ed ecco i loro cugini d'oltre oceano, che non pensavano che la cerimonia d'inaugurazione fosse una roba ufficiale e quindi hanno deciso di travestirsi. E infatti, eccoli mascherati da personale di bordo della Delta Airlines. Le uscite di sicurezza sono qui, qui e qui.


Olanda

Gli amici del paese delle biciclette, avendo perduto i baggli in aeroporto, hanno svaligiato i gabbiottini dell'ANAS e se la sono inventata così. O almeno è l'unica spiegazione possibile. D'altronde: orange is the new black.

Danimarca

Qui invece abbiamo le suore laiche danesi. Belle figliole, per l'amor del cielo, ma a confronto, Maria di Tutti Insieme Appassionatamente, sembrava la gemella di Mary Quant. Per il 2016 ci aspettiamo una bella tunica, stile Druido.


Finlandia

Restiamo a nord: ecco le amiche della Finlandia. Al contrario delle danesi, non si sono riguardate sull'orlo della gonna (e dato l'alfiere, direi che hanno fatto pure bene!), peccato per il giubbino mimetico-urbano. Fa molto Spice Girls, prima maniera, o rumeno 2.0. Ancora qualche anno e sarà avanguardia.

Grecia

Ecco i nostri amici, compagni di prossime sventure economiche, i greci. Data la crisi, hanno pensato bene di riutilizzare completi vecchi di un ventennio, cupi e tristi, che sembrano pronti per un funerale. Insomma, l'austerity, mica seghe.

Repubblica Ceca

Gli amici della Repubblica Ceca, detti i simpatici umoristi, sono gente che va nel paese più piovoso dell'emisfero e si presenta, a mo' di sfottò, con stivali di gomma e ombrello. Se venivano in Italia, probabilmente venivano con mitra e coppola. Simpatici come un calcio nei denti.


Svezia

Medaglia di bronzo per gli amici della Svezia, usciti direttamente da un puntata di College, con la felpa a righe orizzontali che fa così tanto anni 80, che di più non si può. Capisco che non abbiate Armani in patria, ma si poteva far di meglio invece che cercare le magliettine a 3,99 euri di H&M, ecco.

Germania

Secondo posto per i padroni dell'economia europea, i tedeschi. Come me, anche loro sono nostalgici di Kiss Me Licia e quindi hanno deciso di emulare il grembiulino di Andrea (il fratellino di Mirko) e Elisa (la sua fidanzatina). Più kitch di così, non si poteva.


Spagna

Medaglia d'oro, senza dubbio, alla patria delle vacanze italiane: la Spagna (olè!). Non so se era possibile fare peggio, ma credo sinceramente di no. Da notare la fantasia delle donne e la sobria borsa delle atlete. Praticamente sia autoperculano. Ma Zara, la madrina di tutte le wannabe-fashion blogger, in quanto iberica, non poteva dare una mano?

Insomma, oggi abbiamo cpaito che medagliere+stile non è binomio facile. Ecco perchè noi abbiamo la divisa più figa!

lunedì 9 luglio 2012

Jack Frusciante è uscito dal Gruppo. Ma il Gruppo regge ancora alla grande!


Standing in line
To see the show tonight
And there's a light on
L’Heineken Jammin’ Festival è un’esperienza: è un tripudio di luci, gente, colori e musica che raramente si vive in un contesto così rilassato.
C’era l’afa, ma non era insopportabile.
C’era gente ma non la calca.
C’era aria di festa, ma non sguaiata.
C’era musica, quella sì, tanta e bella, di quel rock che piace a me, che mi porta ricordi e sensazioni, che mi fa saltare e cantare a squarciagola in mezzo a migliaia di sconosciuti.

Siamo entrati che sul palco già si suonava, accaldati e stanchi da 400 km macinati in treno per essere là, dove avrei tanto voluto essere dieci anni fa ma non c’ero (Azzurro sì, per la cronaca). Il tempo di un giro per gli stand, per farsi le mani a tema (ho una manicure con le note musicali, ndV), per prendere una bottiglia d’acqua e i led cominciano a illuminarsi, interrompendo gli spot sul sesso sicuro (welcome back, 90’s!), la musica richiama, si sente elettricità.
Ho un fiammante biglietto per Noel Gallagher e i Red Hot Chili Peppers, in pratica un tributo ai nostri migliori anni, quelli che eravamo ragazzini ed era tutto tanto rock, da sembrare un film.
Please don't put your life in the hands
Of a Rock n Roll band
Who'll throw it all away
Noel Gallagher, in polo e occhiali da sole, sale sul palco. Il 50% degli Oasis è davanti a me. Brividi.
In realtà fa un po’ troppo il fighetto, non parla (se si esclude uno GIAO ITAGLIA!), ogni tanto si ferma per bere la birra che sponsorizza l’intera baracca, suona principalmente le sue canzoni. E infatti, salvo qualche ragazzina infoiata, metà della gente ascolta ma non partecipa. Noel, noi siamo cresciuti con gli Oasis. Suona i tuoi pezzi storici, con buona pace dei tuoi High Flying Birds. Wonderwall, Noel, suonaci Wonderwall!
Alla fine cede, ma non suonerà Wonderwall (si capisce che ci sono rimasta male?), ma tirerà fuori degli evergreen come Whatever, Little by little e Don’t look back in anger che infiammano il pubblico. E io urlo, urlo su Little By Little, come se avessi ancora quindici anni, come se non mi accorgessi che a lui girano le palle di dover suonare le canzoni vecchie, come se non notassi che lui è bravo, ma di voglia di suonare non se ne parla.
Quando saluta ed esce dal palco, io sono già senza voce e stremata.
E il bello deve ancora venire.
Come to decide that the things that I tried
Were in my life just to get high on
Si aspetta, poi, sdraiati sul tappeto di erba sintetica, si ride e si suda, ci si riposa in previsione di quello che sarà. Quando il led diventa rosso e compare l’asterisco, noi siamo accanto al mixer, fra i ragazzini e i padri di famiglia: già, perché i ventenni di Blood Sugar Sex Magik oggi sono quarantenni con famiglia. E poi ci son quelli che hanno sentito da preadolescenti Californication e ora hanno vent’anni.
E poi ci siamo noi che abbiam fatto in tempo a vedere John Frusciante uscire dal gruppo, rientrarci e uscire di nuovo.

(Digressione. Essì vecchio Alex, John poi c’è pure rientrato nel gruppo, qualche hanno dopo la partenza di Adelaide. E dopo gli splendori commerciali degli anni 2000 è uscito di nuovo. Ora c’è Josh Klinghoffer, che non sarà Frusciante, ma se la cava discretamente. Stammi bene, Alex. Fine Digressione)
Mi giro e alle mie spalle vedo una distesa sterminata di teste: la mattina dopo leggerò che eravamo quasi trentamila, ma sul momento non me ne sono resa conto, che avevo abbastanza spazio, anche per ballare.

Azzurro non sta più nella pelle, già canta senza musica e un gruppo di ragazzi vicini, canta con lui. Concerto nel concerto, metaconcerto.

Buio.
Applausi e grida.
Riflettori sul palco.

Ed eccoli qui, questi uomini di mezza età che sembrano ventenni sul palco, che attaccano con un pezzo nuovo (Monarchy Of Roses), mentre la folla si dimena, come in una festa.

Can't stop addicted to the shin dig
Cop top he says I'm gonna win big

Ora, sarà che io i Red Hot Chili Peppers non li avevo mai visti dal vivo, sarà che anche se non sono il mio gruppo preferito li ho sempre ascoltati, sarà che alcune canzoni (no, non Under The Bridge) sono legate a determinati momenti della mia adolescenza, sarà quello che volete, ma sono rimasta sconvolta da quanto siano bravi.
Perché tenere a ballare trentamila persone senza troppi orpelli scenici, non è da tutti.

Flea è qualcosa di stratosferico: per un’ora e mezzo non si è fermato mai, dai salti alle verticali, alle battute (che io non le capivo), è un animale da palco. Chad Smith rulla di continuo, quella batteria la sentivi anche quando è saltata una parte dell’impianto. Il già citato Josh Klinghoffer è bravo, sa stare con i ben più navigati colleghi senza perdersi e quando improvvisa con Flea è da strapparsi i vestiti. E soprattutto il controcanto che fa a Can’t Stop, non mi fa rimpiangere il suo predecessore, che per me è roba grossa. Antony Kiedis è un po’ sotto tono (con qualche stecca qua e là) ma regge perfettamente i sedici pezzi senza prendere mai fiato.

Ballo, salto mentre penso che un live così non l’ho mai visto, nemmeno ai gloriosi tempi dei festival gratis.

Le canzoni nuove le conosco meno, Snow (Ehy Oh) è la mia canzone preferita fra le recenti e faccio una sudata per ballarla tutta, su Scar Tissue mi accorgo di avere un decimo della voce che avevo qualche ora fa, su Dani California salto tanto che un ragazzetto mi chiede “ma come fai?”, quando attacca Under The Bridge è impressionante il silenzio che accompagna l’intro e poi è un fiorire di accendini e ipod, Californication è casino, Fire è roba da addetti ai lavori che mi accappona la pelle.

Give it away give it away give it away give it away now [x 3]

Siamo alle battute finali, si sente. L’ultimo pogo, sciolgo i capelli impiastricciati di sudore e balliamo come se non ci fosse domani su Give It Away. Salutano e ringraziano e io penso che voglio rivederli e che è stato fantastico. Fanculo alla mia età anagrafica, ai dolori alla schiena per le ore in piedi, alla stanchezza del viaggio, ai giorni di ferie.
È stato IL concerto. Esticazzi.
Come dicevano sul Corriere Della Sera, peccato per chi non c’era.

martedì 3 luglio 2012

Dell'insenatura di Dawson

(Ovvero, dell'identificarsi con il personaggio più sfigato dell'intera serie)*

Ci sono cose che fanno parte di me e che mi appartengono, che anche se sono cresciuta o cambiata, restano lì sempre uguali.
Questo, però, non è sempre un bene.
Si dice che bisognerebbe maturare, progredire. Joey addirittura lo urlava a Dawson, all’alba della prima serie (correva l’anno 1998, per la cronaca) quando lui non la capiva.

Ecco, io sono come Dawson: ancorata alla mia manciata di certezze, terrorizzata dai cambiamenti, in modo molto infantile. Tant’è che io nel triangolo che ci (mi) tenne incollata alla TV nei pomeriggi di Italia1, io parteggiavo dichiaratamente per lui. Perché lui è il mio alter ego.

Non in tutto certo, stiamo sempre parlando di un cazzone dalla fronte più alta del Nord America, di un trentenne che ci volevano far passare per quindicenne solo mettendogli addosso qualche camicia a quadri, di uno che le donne non le ha mai capite.

E che Dawson non capisse una benemerita, si dimostra fin dalle prime puntate, basta ricordare che invece che intortare come un normale adolescente (cioè sciorinando banalità su Baudelaire, Karl Marx, i Pink Floyd, la Nouvelle Vague et similia), opprime tutte le sue ragazze con dei pipponi (solo figurati, eh! Che Dawson si mantiene vergine fino al college! IL COLLEGE! Roba che American Pie non ti ha insegnato niente?) su Spielberg.
Sì, Spielberg.
Steven Spielberg, quello di ET.
L’apoteosi del cinema commerciale, quello che conoscono tutti, che tutti vedono ma che nessuno stima (tranne me, che sono ancora sotto per Jurassic Park! Ma l’ho già detto: lui è il mio alter ego). Ci si domanda, ad oggi, come Joey, famosa per la parlantina e le risposte acide, non gli abbia mai sbottato di farsi una cultura cinematografica degna, che almeno si arricchiva culturalmente anche lei ad ascoltarlo, visto che di fare altro non se ne parlava.
E invece gnente, serate su serata a guardare Lo Squalo. Robe che sì, guarda, piacerebbe tanto anche a me ma stasera devo proprio limarmi le unghie.

E infatti, Joey sceglie Pacey, che era una capra a scuola (ricordiamoci che non si diploma), ma che almeno la libera dall’incubo cinema e le offre l’avventura. Forse avventura è eccessivo, se ricordiamo per un attimo le loro serate: minigolf, cinema, cena di classe. E certo, la barca a vela (leggi: catamarano) un’estate, durante la quale lei dorme per tre mesi tre in un’amaca, mentre lui le legge La Sirenetta.
Se avessi avuto la mia ernia L4-L5, cara la mia Joey Potter, al ritorno ti toccava cominciare ad uscire con un neurochirurgo.

D’altro canto, anche lei era all’altezza dei suoi comprimari: un’adolescente con paturnie e sfighe (madre morta, padre carcerato, sorella ragazza madre, povera in canna) che poteva gareggiare con Candy Candy. Ovviamente, dietro l’aria da brava ragazza e il sorriso storto, se la fa con tutti; oltre i già citati Dawson e Pacey, finisce con: Jack (l’omosessuale), AJ (il saputello), Charlie (l’ex della sua amica Jen), il professore di Letteratura (strizziamo l’occhio a Nabokov, noi!) ed Eddie (il barista letterato).

Non mi perderò a ricordare Andie la pazza (fatta sparire senza pietà, con un viaggio in Italia da cui non tornerà. Grazie per la bella pubblicità, Kevin Williamson!), il già citato Jack, o Audrey (detta il troione da sbraco) per tornare a focalizzarmi su Dawson.

Proprio lui, il protagonista, alla fine di sei stagioni, quando tutti raggiungono un punto fermo e sono lì a vivere il loro lieto fine, decide di dare LA SVOLTA.

Breve parentesi sul lieto fine: questo, ovviamente, non vale per la compianta Jen Lindley –al secolo Michelle Williams, attrice acclamata dalla critica- che tira le cuoia nell’ultima puntata. Non sia mai che fra dieci anni tirino fuori uno spin off, alla 90210, con un bel triangolo fra Lily (la sorella di Dawson), Alexander (il nipote di Joey) e Amy (la figlia di Jen) e a lei venga la malaugurata idea di accettare la parte.
Tra l’altro, vista l’evoluzione di protagonisti di Beverly Hills in 90210 (Kelly che diventa psicologa, ndV), il ruolo di Jen poteva essere solo quello dell’insegnante di religione.

Comunque dicevo, il nostro, dopo tutto quello che gli succede in centoventotto puntate (amori- lutti- genitori che si separano- genitori che si risposano- esami- lavori- film realizzati- intorti- figure dimmerda con Eva- discussioni sul niente- il tuo migliore amico che ti si frega la donna- lezioni di moralità e legalità… ad libitum), si accontenta è felice di incontrare Spielberg, mentre la sua anima gemella, decide di (ri)trombarsi Pacey.

Il tutto, parafrasando Joey, per dire che Le persone crescono, Dawson! Evolvono! .

Ecco, io e Dawson no. Però lui ha almeno incontrato Spielberg.


*Nonostante il tono sarcastico, si sappia e non si dimentichi che Dawson's Creek è il mio teen drama preferito, over the top. Lo prendo in giro in maniera bonaria, ma lo reputo il miglior maestro di vita che abbia mai avuto.

venerdì 29 giugno 2012

Dei corsi e dei ricorsi storici

Non è che sono sparita, è che sto transitando.
Sono subissata di emozioni, di cambiamenti che mi ripetono che “tutto scorre”(chè i nostri giorni sembrano piatti ma mica lo sono davvero!), di bisogno di calma per respirare ed accettare.

Ci si mette anche Radio DeeJay, con la canzone dell’estate (son grandi da 30 anni e non si smentiscono! Ma mi commuove, giuro!) e con la fine di Chiamate Roma TriunoTriuno, a farmi venire il patema da cambiamento, che io non sono nemmeno un tipo emotivo, nonnò, e stamattina quasi mi vengono i lacrimoni sentendo salutare il Trio.

È stato uno strano giugno. Non brutto e non triste, ma strano.
Ci sono date che sembravano lontanissime e sono diventate “oggi” , sensazioni che sembravano eterne che non lo sono più, eventi che credevi irripetibili e che tornano.

Un po’ mi ricorda gli ultimi giorni prima della maturità, quando eravamo felici che quella gabbia chiamata liceo fosse finita, ma un po’ eravamo già nostalgici per un periodo che (ahimè!) non sarebbe tornato più.
Per la cronaca, l’ultimo giorno di scuola, io piansi molto. Anche dalle foto si notano i miei occhi rossi.

So che mi abituerò, ma un po’ tremo. Perché è un po’ di me che se ne va, come direbbe il Manuel nazionale.

martedì 12 giugno 2012

Dei viaggi e dei miraggi

Essere in giro significa: camminare, sudare, ridere, avere una stanza meravigliosa che sovrasta i tetti, fare il bagno nella mini piscina, mangiare tutti i carboidrati che non mangiavo dal 2011, misurarsi vestiti bellissimi ma troppo costosi, visitare il museo di arte contemporanea e restarne colpita, fare il brunch più figo della storia, sporcarsi il vestito bianco durante la cena come una seienne, vedere una coppia di sposi a S. Pietro di venerdì (do you know “Di Venere e di Marte né si sposa, né si parte, né si da principio all’arte”?), inebriarsi del profumo di tigli, entrare da Muji, fare colazione in terrazza sotto il pergolato, fare tante foto, passeggiare fra gli studenti che hanno finito la scuola, sbronzarsi in maniera imbarazzante, ascoltare Azzurro che importuna il turista di Hong Kong dicendogli It’s really a Chamonix Camera?, ascoltare l’attempato signore che ci prova con la dottoranda ventenne, trovare un libro che cercavo da un po’ e comprarne uno che so che lo farà commuovere, trovare un delizioso chiosco che fa ancora il caffè a 0,80 centesimi, impazzire nel negozio della Fabriano, innamorarsi di ogni angolo della Città, cenare nel mio posto preferito in assoluto, incontrare un’Amiscout storica e prenderci una birra (o una Coca Cola) e poterla finalmente ri-abbracciare, notare e ricordarsi di un baretto dell’estate scorsa, ridere con gli amici di Azzurro, sporgersi in taxi per vedere la città illuminata di sera, osservare per ore le stelle sdraiati in terrazza, provare tristezza in stazione, sentirmi a casa, pensare che non sembra una cagna in mezzo ai maiali o forse sì ma è comunque bellissima.

venerdì 11 maggio 2012

Firenze l'è piccina / e vista da i' Piazzale / la pare una bambina

Latito da un po’. Non per assenza di contenuti, ma per mancanza di tempo et voglia. Oppure a volte succede che sono stanca, che sono stata anche a correre e dopo la doccia collasso e non mi riesce a svegliarmi nemmeno per biascicare la buona notte a chi ho accanto.

Però sono stata a Firenze, qualche giorno fa.
Io a Firenze le voglio un po’ bene.

Da bambina andavo con i miei: mio babbo c’aveva fatto il militare e anche lui le voleva bene. Ci voleva andare sempre a prendere il caffè alle Giubbe Rosse e il gelato da Vivoli, mentre mia mamma tornava sempre carica di buste, che all’epoca la Coin e la Rinascente, a noi di provincia sembravano avanguardia pura.

Poi ho cominciato ad andarci da sola, sporadicamente in primavera, quando facevo il liceo. Andavamo al mercatino di San Lorenzo (che sembrava tanto grande e bello e invece è tutta chincaglieria per turisti) e a struffare il naso del Porcellino, che dice che porti fortuna.

Infine Firenze è diventata una frequentazione abituale durante l’università. Per tre anni, ogni mattina, arrivavo scocciata e trafelata dalla mia ridente cittadina e ci passavo le mie giornate intere. Il venerdì mattina, con Ciukino, ci regalavamo la colazione al bar (dove facevano il caffè macchiato con tanta schiuma e in tazza grandedi default) e ridevamo del cameriere più bistrattato che abbia mai visto. Andavamo all’Edison e alla Feltrinelli per le presentazioni dei libri, da Zara che da noi ancora non aveva aperto, alla biblioteca Marucelliana prima che aprissero quella di facoltà, al mercato della Cascine invece che a lezione, in piazzale Michelangelo che è il posto più bello di tutta Firenze.
Sono stata ospite di Ciukino e Momo o di vari compagni di corso per andare alla Flog, al concerto dei Subsonica al Sashall (ora Mandela Forum) che mi avevano regalato il biglietto, al giovedì universitario dell’Universale (esiste ancora?), al Central Park (esiste ancora-bis?) per festeggiare la fine della sessione estiva, per San Giovanni solo per sentire con le mie orecchie che “i fochi l'eran meglio quegli altr'anni", al Salamanca per la cena degli auguri con gli amichetti del corso. Sono rimasta anche solo perché avevo perso l’ultimo treno, o la mattina dopo avevo un esame troppo presto.

In quegl’anni lì, Firenze l’ho amata e odiata insieme. Mi costringeva ad una sveglia antidiluviana e mi faceva rientrare sempre tardi, era faticosa, calda e caotica, mi faceva studiare robe che non credevo e mi faceva sentire sempre in ritardo: praticamente mi sfiancava. Eppure ci trovavo la mia dimensione più di quanto non riuscissi a fare a casa, forse perché lì ero solo io, Viola, senza tutti i ricchi coittillon che avevo nella mia città. Potevo essere tutto e il suo contrario e questo mi dava un’ebbrezza che poi non ho più provato. Firenze m’ha salvata da tutta la mia rabbia e la mia tristezza, durante quegli anni.

Ci sono tornata adesso ed era più di un anno che mancavo. Ho camminato tanto, per visitare i miei posti preferiti, per affacciarsi in Ponte Vecchio, per mangiare il gelato alle Parigine, per passare dagli Uffizi et similia.

Solo poi sono passata davanti alla mia facoltà.

Sarei voluta entrare, ma poi ho desistito che ormai è andata e non c'è tempo per i rimpianti.
Tanto, alla fine, è andata comunque come doveva andare.

lunedì 16 aprile 2012

“Questa nave non può affondare!” “È fatta di ferro, signore. Le assicuro che può affondare.”*

1998, Gennaio.

La piccola Viola non ha ancora 14 anni, frequenta la terza media, ha i capelli molto corti, non ha mai dato un bacio vero, ascolta i BackStreet Boys ed ha un appuntamento con altre due compagne di scuola davanti al cinema alle ore 15.
(Diversi anni fa, una tredicenne che usciva non aveva la libertà di una tredicenne moderna. Quindi andava al cinema alle 15, con tutta la digestione in corso, ndV.)Paga il biglietto (che con la riduzione “studenti” costava circa cinquemila lire o giù di lì), prende una Coca Cola e si mette a sedere in galleria, senza avere un posto ben definito che, quindici anni fa, al cinema ti mettevi a sedere dove volevi.
Viola guarda il film senza mai commentare, cosa che faceva sempre anche all’epoca.
Si ritrova a sognare un amore così.
Si ritrova innamorata di un giovane attore imberbe.
Si ritrova a piangere per gli ultimi quaranta minuti di film.
Si riaccendono le luci in sala.
Viola è stordita, non sa bene cosa sia successo, ma sa che niente sarà più lo stesso: è iniziata l’era "Titanic".

Nei mesi successivi, Viola scoprirà l’adolescenza regressiva: tappezzerà la sua stanza dei poster di Leonardo Di Caprio, farà le prove di bacio con i poster stessi, imparerà a memoria per la prima volta il testo (e la traduzione) di una canzone in inglese (questa), si farà una cultura sul Titanic che nemmeno Cameron in persona, tornerà al cinema altre due volte (commuovendosi sempre), MTV diventerà il suo appuntamento fisso (perché il video della canzone di cui sopra, passa circa 30 volte il dì) e giurerà (credendoci davvero, ndV) amore eterno a Leonardo Di Caprio.

Passano i mesi, gli anni, Viola cresce, s’appassiona ad altro, ma quell’amore così adolescenziale resta.
Non potrà mai evitare di vedere quel film, ogni volta che lo daranno in tv (che, insieme a Via Col Vento e Pretty Woman, è il film che ha segnato la sua educazione sentimentale).

2012, Marzo

Bivaccando sul divano, tre settimane fa, scopro che c'è chi non ha mai visto Titanic.
Al mio “MA DAVVEROOO?!” con gli occhi sgranati, mi si replica con un freddino “mattipare che sono stato al cinema a vedere Titanic?!”.
Detta a me, questa frase, ha lo stesso sapore di una BESTEMMIA.
D’un tratto, l’illuminazione sotto forma di trailer: ri-uscirà al cinema, in 3D.
Nessuno dei due ha vissuto l’esperienza di un film con gli occhialini.
Lo interpreto come un segno del destino. Andremo a (ri)vedere Titanic. Titanic in 3D. Titanic in 3D al cinema, quindici anni dopo.

Sabato è il giorno.
Facciamo scorta di caramelle gommose, patatine e Coca Cola, inforchiamo gli occhiali ed entriamo in sala dopo aver pagato il biglietto (che costa circa 13 euri compresi con gli occhiali, con un aumento -in quattordici anni- del 400% circa, sul prezzo del biglietto).
Intorno a noi, lo stesso pubblico eterogeneo di allora: ragazzine che non hanno mai visto il film (tra l'altro ci sono dei forum online sul film MERAVIGLIOSI redatti dalle stesse, ndV), famiglie, coppie in cui Lui è trascinato da Lei (come noi), gente che è lì solo per criticare, coppiette di bimbomynkia che cercano nel buio l’occasione per il pomicio facile, profani e adoratori.
Cala il buio e io mi isolo: non voglio sentire né voci, né ovazioni.
Già sui titoli di testa mi mordicchio il labbro che la sensazione di flashback è fortissima, quasi mi pare di avere accanto la me stessa tredicenne. Saranno tre ore lunghissime, già lo so.
Scopro che non potrò mai più vedere un film catastrofico senza 3D, che l’effetto che provi è come essere lì, in scena, fra Kate e Leo, sentendomi anche io un po’ Rose Dewitt Bukater.
Rose anziana (che, scopro da Wiki, è passata a miglior vita due anni fa), il ritratto ritrovato, la partenza del transatlantico, loro che si conoscono, la cena di gala: seguo tutto in apnea, mentre Azzurro si mangia tutta l’immensità di caramelle che abbiamo comprato.
Ad ogni scena, continuo a pensare che la versione restaurata è over the top: il film tiene botta al tempo in maniera magistrale, il digitale fa il resto.
Durante l’intervallo, mi accorgo che anche chi indossa quotidianamente la maschera di puro cineasta d’autore, s’è fatto prendere dalla storia più di quanto non voglia ammettere. Mi chiede “e ora che succede?”, gli rispondo nell'unico modo possibile.
Si affonda, per la prossima ora e mezzo. E cerchiamo di sopravvivere!

E sembra di affondare davvero: gli schizzi d’acqua sembrano colpirti, i corridoi hanno una profondità nuova che li rende claustrofobici, si ha quasi la sensazione dell’acqua gelida sulla pelle.
Si arriva al rush finale: la nave sta affondando, resta solo da scoprire chi e come si salverà. Non ce la faccio a più a mantenere l’espressione compita: mi sono sforzata fino adesso, ma ora non più. Lenti, scivolano via due lacrimoni che mi rigano le guance, seguiti da altri ed altri ancora, mentre tiro su col naso.
É un'ecatombe: piango sulla storia, sul tempo che è passato, sulla tredicenne di allora. Sembro una fontana.
Penso anche a come abbia disatteso il mio amore eterno per Leo (che poi a rivederlo era davvero un bambino e non mi pace nemmeno più in questo film. Lo apprezzo più maturo e barbuto, com'è oggi, anche se sta con Blake Lively, ndV).
Non sono mai pronta, al finale.
Nessuno lo è, tant’è che non si leva la solita pantomima dell’applauso in sala (che non ho mai capito: chi si deve appaudire? La maschera? L’operatore di pellicola?), ma si sentono solo nasi tirare su e silenzio.

Si riaccendono le luci. Sembro un panda, che mi è colato tutto l’eyeliner (sì, lo so, sarebbe stato meglio non truccare gli occhi. O almeno usare del waterproof, machevidevodì, credevo di reggerlo, l’impatto emotivo!), il mascara e la matita che si sono impastati con il fondotinta che vi lascio solo immaginare.
Almeno, a 13 anni non ero mica trucctaa!

*Che poi, secondo me, a definirla "inaffondabile", gliel'avevano proprio gufata!

sabato 14 aprile 2012

San Lele Mora da Bagnolo di Po.

Piove (governo ladro).
Accendo la tv e c'è Verissimo.
La figlia di Lele Mora è intervistata da Madama Toffanin in Berlusconi (ie piacerebbe! E invece no, il Dudi mica se la sposa!).
Viene fuori che Lele Mora è un brav'uomo, triste, che ha perso 30 kg (che non mi pare che sia una tragedia), vittima della giustizia, che sta una cella piccolina e che soffre.
Insomma una specie di San Suu Kyi, italico.

Roba che mi vengono i brividi.
D'altro canto, ha commesso solo il reato di bancarotta fraudolenta, dice la figlia.
Già, solo.
Infatti ha evaso milioni di euro, fallito, pagato tangenti ed indagato per spaccio ed induzione alla prostituzione, roba da niente.
Quando avrò un figlio, lo contatterò per fargli da baby sitter.
Che poi si sente dire che la televisione, in Italia, non è serva del potere.

(Se esiste qualcuno che ancora non l'ha visto, consiglio in merito Videocracy . Giusto per cultura personale, eh!
Così ci si può godere il buon Lele Mora in versione ricco e grasso che fa lo splendido con i tronisti della Maria De Filippi e che fa sentire la sua sobria suoneria del cellulare)

mercoledì 11 aprile 2012

Il primo amore non si scorda mai

Poi la Pasqua è passata, ma in realtà non me ne sono nemmeno accorta, che sembrava di trascorrere il ponte dei morti (che poi sono i santi, ma da noi si dice "i morti"), invece che la santapasquadinostrosignorerisorto.
Di tutto quello che volevo fare, non ho fatto gnente.
Talmente gnente, che mi sono ritrovata a guardare il film di Dylan Dog.

Ora.
Dylan Dog è uno dei miei amori giovanili (secondo solo a Topolino) che non si sono persi con l'età adulta e che sono poi diventati una vera e propria passione (che, tanto per dire, con uno così non dispiacerebbe nemmeno).
Mi sono innamorata leggendo dalla collezione di mia cuggina (all'epoca adolescente) il n°34 "Il Buio", quando avevo 10 anni e non riuscivo a cogliere le citazioni-il pulp-le metafore. Mi colpirono però i disegni, le donne nude (prima di allora, la mia esperienza con il fumetto era circoscritta a Topolino e, botta di femminilità, Minnie&Company) e la paura tangibile (tant'è che poi dormii per un mese con la luce accesa).
Da lì in poi, ogni volta che potevo, leggevo un albo: ogni volta c'era Dylan bello (d'altro canto è ispirato a Rupert Everet alla prima maniera, dell'epoca in cui si era ancora convinti che George Michael non fosse gay) e tanto tenero, una figa che s'innamorava di lui e con cui faceva all'ammòre (e che io provavo a disegnare), un componente horror che non finiva mai del tutto e che mi lasciava con le palpitazioni.

Da adolescente lessi tutti i numeri, in fila. Coglievo le citazioni, copiavo qualche perla di filosofia spicciola sul diario (che noi, giovani ante facebook, le citazioni le scrivevamo sulla smemoranda con i pennarelli e i brillantini, mica sulla bacheca virtuale!), se ne parlava con i tipi un po' decadenti della scuola (che DD era un fumetto da pseudo-intellettuali), ragionavo sul numero 74 "Il lungo addio" decretandolo il numero migliore in assoluto e aspettavo con ansia i numeri speciali a colori (in quel periodo il 100 e il 121, gli altri ero già abbastanza adulta per notare il sovrapprezzo, prima che le tavole a colori).

Oggi, mi piace meno, è diventato un po' troppo ripetitivo, ha abbandonato l'orrore per abbracciare il genere thriller, ma ancora lo compro quando capita. Dylan è una specie di vecchio amico, mi ha dimostrato che esistevano fumetti per adulti ed è stato l'iniziatore che mi ha mostrato cosa ci fosse al di là dell'infanzia.

Con pregiudizio, vedo che il film su di lui (non Della morte Dell'amore, ma il film vero!) è disponibile su Sky. Fuori piove, io son sola a casa, perchè non provarci? Una possibilità l'ho concessa anche al seguito di "Via col Vento" (per la cronaca ,"Rossella" è una cagata pazzesca!), non posso rifiutarla a Dylan.

GRAVE ERRORE.
Non è un film per i lettori del fumetto (celo). Non è un film per gli amanti dell'horror (manca). Non è un film per chi ama la comicità all'inglese (celo). Non è un film per chi apprezza l'adrenalina (manca). Non è un film per chi ama gli effetti speciali (celo).
É un film per i fan di Buffy-L'ammazza vampiri (che non ho mai visto per più di 6 minuti consecutivi) (manca).
Senza spessore, senza trama (inteso come intreccio), senza valore per chi ha superato i sweet16 da più di qualche ora, essenzialmente già visto e già sentito.
Praticamente degno del ciclo "Alta Tensione" di Canale5, ma rivolto al target della MTV generation.

E non lo dico da purista del fumetto, lo dico da spettatrice che non riesce ad appassionarsi, che si aspetta qualcosa da un titolo che conosce (tipo suspance, atmosfere dark, introspezione) e non un ragazzetto belloccio che imbraccia un fucile e spara -nell'ordine- a: zombie, vampiri, licantropi (le streghe, no? Perchè questa discriminazione? Voglio parlare con il direttore!) senza alcun motivo che vada oltre il dualismo buono-cattivo.
Manca di tutto quello che va oltre, in pratica di una sceneggiatura, che possa reggere sullo schermo per la durata di un film (e non di un videoclip) e possa dare ai personaggi un carattere, una carica, un qualcosa che li possa definire verosimili (e non parenti stretti di Action Man).

Più che altro si poteva evitare di chiamarlo "Dylan Dog" e di usare lo stesso lettering, che io almeno mi risparmiavo un paio d'ore di brutto cinema (amici della Bonelli, spero vi abbiano pagato profumatamente i diritti d'autore, visto lo scempio) e mi guardavo una puntata di "Abito da Sposa cercasi".

Dylan perdonali, perchè non sanno quello che fanno.

mercoledì 22 febbraio 2012

The cat came back

Ho sempre amato i gatti, tanto da temere di diventare una zitella gattara.
E la scena della gloriosa Michelle Pfeifer (ante botox) che, in "Batman - Il ritorno", viene rianimata dai felini, mi è sempre piaciuta.

Poi ieri sera, tornata dai festeggiamenti carnevaleschi, ho visto questo.

É un amore finito.

lunedì 20 febbraio 2012

L'alba del giorno dopo (e di quello dopo ancora)

Cosa resterà, di questo San Remo?

Zanni Morandi che parla come se fosse spiritato, per colpa di un gobbo posizionato troppo in alto.

La valletta bella-e-solo-bella, che non c’è la prima sera e che, in quelle successive, se c’è o non c’è cambia poco.

Rocco Papaleo che, nonostante le marchette continue a Costume National, si difende bene e soprattutto difende il Festival.

Celentano che predica e viene fischiato per finta, come la storia del tentato suicidio del 1995.

Belen e il mistero delle sue mutatis-mutandis.

La Canalis NP.

I maestri d’orchestra peggio vestiti di tutte le 62 edizioni, considerando che addirittura uno aveva i jeans con la catena, che erano di moda ai tempi degli East17, tipo nel 1994.

D’Alessio&Bertè verranno ricordati come emblema del trash e della tamarraggine sdoganata, in Eurovisione. Un esempio su tutti, lo si trova qui.

*Momento Capelli*

L’incapacità della stylist di Noemi, che è riuscita a trovare gli abiti dai colori che peggio si abbinavano ai suoi capelli rosso fuoco (salvo l'abito di venerdì, di cui ho già fatto le lodi, ndV).




Rapida carrellata di Noemi e dei suoi look.


I capelli striati di verde di Dolcenera, che ricordano il colore dei Velociraptor di Jurassic Park III.

Il taglio terribile di Pierdavide Carone, che alla fine l’ha pure penalizzato al televoto, secondo me.





Pierdavide Carone, emo version.



*Fine Momento Capelli*

Arisa che s’è riscoperta figa.

Bersani che è in assoluto il più figo. C'ha 42 anni, ma continua ad essere belloccio come ai tempi di Chicco e Spillo. E poi è il sosia di Azzurro, come dicono le mie colleghe, quindi vale doppio.

Io che qui becco tre nomi su quattro, tra i vincitori. L’anno prossimo vado alla Snai

venerdì 17 febbraio 2012

E fu sera e fu mattina. Quarto Giorno.

Appunti sparsi, del poco che visto nel pre-uscita del venerdì sera (tanto dicono il vincitore dei GGGiovani-Social, quindi se ne può parlare tranquillamente domani).

1. Noemi aveva un vestito che le faceva perdere tre taglie. Lo voglio. Dimmi dove l'hai comprato, adesso.

2. Grignani che dice "Grande Dalla" è credibile come quando mi trovavano le sigarette in tasca a diciassette anni e dicevo che non erano le mie.

3. D'Alessio e Bertè hanno toccato il fondo, cominciato a scavare e preso una trivella per andare ancora più giù con la performance con Fargetta. Fargetta, anche tu, che cazzo fai? Per soldi si fa tutto, sono d'accordo ma resta la dignità. Dignità, semplicemente.
Giggi-ti-amo-D'Alessio sembrava uno scuretto di Scampia, il dettaglio trash era la maglietta con stampata la foto del figlio. E tutta quella gente sul palco? No davvero, non ce la posso fare.

4. DolceNera dai capelli verdi aveva un abito che mai nella vita, per non parlare dei sandali giusti a Pantelleria, ma non a Sanremo.

5. Bersani anche se sentito alla radio mentre ero in macchina è apprezzabile, ma non so cosa avesse addosso il che è una grave mancanza.

6. La Civello con Francesca-X-Factor-Made (vestita come Barbie Notte di Stelle) sembrava ancora più vecchia. Mai mettersi accanto una giovinetta, pena sembrare una carampana in tempo 0.

7. La Ferilli è invecchiata tantissimo. Si vede il botox, il silicone, il titanio e i ricchi coittilon.

8. Papaleo che stronca l'Ivana è stato uno fra i migliori momenti, fin'ora.

9. Basta con le marchette sugli abiti, ci sono i titoli di coda appositamente, c'è internet, c'è DivaeDonna. Sennò i settimanali da parrucchiera cosa raccontano?

10. Fermate il tizio napoletano di "Benvenuti in ogni dove", vi prego. Sta facendo battute sul fatto che i francesi non hanno il bidet. Su RaiUno. Al Festival. Nel 2012. Epic Fail.

11. Emma ha finalmete un vestito da donna, Alessandra Amoroso sembra Eva Kant denoiantri. Riletterei un attimo sul fatto che Emma s'è fatta portavoce del malessere popolare sul precariato. Pensiamo un attimo al dramma culturale del nostro povero Paese.

Il gran finale domani, adesso è l'ora della vita sociale.

Appunti sparsi - E fu sera e fu mattina. Terzo Giorno.*

Terza serata: io devo uscire, porcoGiuda!, che ho una riunione da coordinare.
Più veloce della luce, esco di casa alle 21.00, faccio la mia mini riunione, sbologno tutti e alle 23.00 sono di nuovo al presidiare il Festivàl.

Mi son persa la Civello (continuo a chiederlo: chi è?) con Mr-Bombastic-Shaggy (palusibile una limonata dietro le quinte fra i due), Samule Bersani con Goran Bregovic in salsa romagnola, Nina Zille e Skye (viste sul tubo. Carine insieme, molto!, anche se la Zilli ha optato per un look alla Ferrero Rocher) con un evergreen di Mina.
Ho perduto anche i Matia Bazar con Al Jarreau (ma sono io ignorante? Chi è?) con una canzone diversa dal solito solo perchè non è la loro, ma de "Il Padrino", Emma (nuda) con Gary Co e Arisa con José Feliciano.
Non ho visto nemmeno la Pellgrini: mi chiedo se è sembrata uno scaricatore di porto di Mestre sui tacchi come al suo solito, oppurenò. Dubbi esistenziali.
Poi Francesco Renga e Sergio Dalma, Dalla&Carone con Mads Langer che cantano prima in napoletano, poi la canzone della Wind "You're not alone", Irene Fornaciari e il chitarrista dei Queen, al secolo Brian May.

Finalmente sono a casa!
Decido che vale la pena scrivere un post in diretta su quello che vedo.
Tardi, certo, ma intanto è online.
Il tutto mentre nasce l'amore per Beth, un'altra piccola donna moderna.

Ho appena visto il duetto Marlene - Patti Smith, in "Impressioni di Settembre" prima e in "Because the Night" dopo. In due parole: TANTA-ROBA. Lei è invecchiata tanto ma, DioMio, quando canta è sempre meravigliosa. Vai Patti, altro che la tua omonima italica!

Dopodichè Giggi-ti-amo-D'Alessio, con la strappona Bertè che cantavano (uhhhh... che sorpresa!) "Almeno tu nel'universo" di Mia Martini, con Macy Gray. C'era più Xanax in quei tre, che in casa mia. Il buongusto non l'avevano invitato, anche se l'interpretazione è stata notevole.

Finardi E Noa. Lei sembrava Ariel ("La Sirenetta", ndV)in versione multiraziale. Lui... che dire... semplicemente, deve fare amicizia col barbiere, c'è poco da fare. Ovviamente l'ennesimo grande tributo alla musica napoletana ci sta sempre. E poi la canzone de "La vita è bella".

Ora Dolcenera con bianco-rapper-tatuato detto Prof. Green (chi è?). Qualcuno dica a Dolcenera che 2 kg in più l'aggraziano, anzichenò. Prima cantano Vasco con "Vita Spericolata" (avanguardia!) e poi marchettona con l'ultimo singolo della DolceNera.

Noemi con Sarah Jane Morris (ma solo io non li conosco tutti questi famosissimi big stranieri?) che cantano "Amarsi un po' " di Battisti. Noemi, tesoro, denuncia IMMEDIATAMENTE il tuo stylist. Che va bene che è la serata dedicata all'Italia nel mondo, ma con i tuoi capelli il verde non puoi indossarlo mai. "Chi di verde veste a sua beltà s'affida", lo dicono anche EnzoeCarla. Fidati. Se non di me, di loro. E tu, sconosciuta Sarah Jane Morris, sei all'Ariston, non al Mulin Rouge. Ricordatelo, per la prossima volta!
Oddio, cantano Tracy Chapman. Adoro. Non riesco ad essere oggettiva con Tracy Chapman.

Balletto dell'Ivana. Figa è figa, nessuno lo mette in discussione, ma si muove come la Maria ai tempi di "C'è posta per te" con Kledi. E non ditemi che il torcicollo le è venuto per questo, che sennò io ho il gomito del tennista per le sessioni di piastra ai capelli.

Ricantano i morituri. Ave Zanni, morituri te salutant.
Cominciano Dalla&Pierdavide.
Pierdavide, te lo devo chiedere, perchè questi capelli? Li avevo taciuti per buongusto ma ora non posso che denunciare il fatto. C'hai quasi trent'anni anche te, non è il caso di fare il bimbominkia. Ho smesso io, puoi farcela anche tu! La canzone non mi piace, l'ho già detto.

D'Alessio e Bertè. Lui senza giacca di pelle è quasi irriconoscibile. Lei con le autoreggenti a vista è da bollino rosso. La canzone non la salvo nemmeno con tutto il sonno che ho in questo momento. E le chitarre elettriche graffianti e finte rock sono pioggia sul bagnato, sappiatelo.

Irene Fornaciari. Riesce ad essere ogni sera sempre peggio vestita. Zanni comincia ad aver sonno, si dimentica di dire il codice. Intanto giungo alla conclusione che tutti quelli che sono all'Ariston domani sono in ferie, vista l'ora indegna. E io no.
Irene è inascoltabile, davvero. La canzone s'intitola "Il mio grande mistero", anche se in realtà il mistero è come faccia ad essere lì. Fa Fornaciari di cognome, giusto. Eco svelato il mistero.

I Marlene con Samuel dei Subsonica (poco si nota l'aggiunta. Ma adoro, a prescindere). Non è il loro ambiente, è palese, ma io tifo per loro. Anche se il lupetto sotto la camicia non va bene . E sono invecchiati male, questo non me lo leva dalla testa nessuno.

Dai che finisce, dai.
Siparietto riempitivo. Vogliamo dare la linea direttamente a UnoMattina?
Amarcord di Zanni. Eddaje Zanni, dicci chi va e chi resta. Forza, chiudiamo 'sto televoto.
Televoto chiuso, finalmente. Ci siamo.

I Marlene vincono il premio della stampa StiCazzi per l'interpretazione con Patti Smith. Vedrai che vincono pure la critica, io l'avevo detto. Ricordatevelo tutti.

Riammessi Dalla&Pierdavide e D'Alessio&Bertè.
Maddai.
In pratica: un emo adulto, un napoletano e una strappona. Che amarezza.


*editato all'alba del giorno dopo, in seguito a documentazione su ciò che è avvenuto in mia assenza.

giovedì 16 febbraio 2012

La vispa Teresa avea fra l'erbetta, nel volo sorpresa gentil farfalletta

Sulla seconda serata c'è poco o nulla da dire: canzoni-canzoni-canzoni. Decisamente troppe, secondo me.
Sugli eliminati è bene non dir niente, dato che stasera si ripesca. Sui GGGiòvani non m'esprimo, perché io non salvo nessuno.


Non salvo nemmeno il NonGiò e Biggio, che a me hanno fracassato con i loro sketch che piacciono tanto ai gggiovani-bimbiminkia. Che siamo sempre all'Ariston, mica a Jersey Shore, porca miseria!
Celentano non s’è visto, altrimenti si finiva giustigiusti per UnoMattina.

Però, per un Adriano che va, c’è un’Ivana (e non Ivanka come s’ostina a chiamarla Zanni Morandi) che viene.
Bella figliola.
Abbiamo appurato che sa leggere il gobbo, perchè senza è l'equivalente di una (bella) statua.
E che il vestito nero (Ferragamo) era davvero bello.
E che il vestito pesca fa troppo effetto paralume.
E che avrà anche più tette dei Belen, ma a me non sembra.

Ma soprattutto, signori miei, ieri è stata la serata della farfalla (sì, quella!) di Belen.
Vista in tutte le salse, ad onor di cronaca.


Mentre scende le scale.



Mentre Presenta.




Ingrandita.


Insomma, una serata svolazzante.

PS: Ad oggi la mia previsione di podio (in barba alle mie preferenze) è Nina Zilli-Emma-Arisa (per la proprietà commutativa si possono mettere in ordine a proprio gradimento). Al più, se deve vincere pure un’uomo, pure Finardi (il cantautorato è come il prezzemolo, ci sta sempre). Premio della critica ai Marlene o a Bersani.

mercoledì 15 febbraio 2012

Perchè San Remo è San Remo

Ieri era SanValentino.
Azzurro mi ha portato a cena, ha fatto il romanticone, ha commentato con me i nostri vicini di tavolo 50-year-old (dovrebbero vietare certi comportamenti affettuosi in pubblico, se hai una certa età. Soprattutto se sei nato con la TV in bianco e nero e la signora seduta accanto a te ha un palese accento sovietico) etcetera etcetera.
Tutto molto bello.
Non voglio sminuire, assolutamente.
Ma siam dovuti tornare presto, ieri.
Perché, più che SanValentino, era il primo giorno.
Il primo giorno di Festivàl!

Il mio vecchio blog (quello che uccisi, in uno scatto d’orgoglio) aveva addirittura una categoria dedicata. Perché io ci sento.
Ricordiamoci tutti che io tifavo per Povia, ai tempi del Piccione. E che la prima domanda che feci qualche anno fa alla scontrosa barista dell’aeroporto di Bologna all’alba della domenica mattina, atterrata in suolo italico dopo una vacanza coincidente con il Festivàl, fu “chi ha vinto San Remo?”.
Ho anche aspettato che la Zit mi recensisse la prima serata (dopo aver letto le passate edizioni, l’avevo eletta massima esperta in materia sanremese), ma per ora tace.
E allora vado io.
Perché San Remo è San Remo.

Quest’edizione si preannuncia sottotono.
In primo (secondo e pure terzo) luogo perché la valletta a dato foirfat.
Torcicollo?Cervicale? Suvvia, c’ha diciannove anni! Io ha diciannove anni facevo di ogni cosa, e non mi fermava nemmeno la febbre. Vabbè.
Insomma l’Ivana non c’era (ma dice che ci sia stasera) e hanno dovuto riprendere per i capelli la Canalis e la Belen (che fa pure una gaffe dicendo che regalerà un vestito “nuovo di stecca” alla valletta titolare), vestiterle-pettinarle-truccarle e sbatterle sul palco (no, non in quel senso).
Com’erano?
Carine.
Soprattutto la Belen che aveva un vestito meraviglioso.
La Canalis (di bianco vestita), invece, ha dato una pessima prova d’attrice interpretando l’Italia, un’Italia sarda, ma pur sempre l’Italia. Si vede che ha fatto la gavetta nei film di Boldi.

Celentano.
Per chi si fosse perso un qualunque telegiornale nelle ultime due settimane, non solo abbiamo il relitto della Concordia davanti all’Isola del Giglio, l’emergenza neve, Roma ritirata dalla candidatura olimpica, ma anche e soprattutto Celentano come ospite fisso del festivàl.
Non canta, non è in gara. Fa i discorsi da bar con gli effetti speciali, sissignori.
Niente contro Adriano, per carità. Solo che non c’entrava una benemerita.
Per par condicio, ha avuto da polemizzare con tutti. Consulta, Chiesa, Giornali, RAI, governo, UE, Aldo Grasso, Grecia: in pratica ce n’è per tutti. Si poteva fare il giochino celo-celo-manca (lanciato dallo stesso Morandi un lustro fa), per vedere quando eri d’accordo e quando no.
Il tutto, per modici 50 minuti di monologo. Praticamente un programma nel programma. Metatelevisione.
Talmente meta televisione, che poi canta. Ma non è in gara, attenti!

Approposito di gara, il voto della giuria demoscopica (come si fa a farne parte? È tutta la vita che da grande voglio fare la giurata di San Remo, io! Ho pure il giusto orecchio della donnetta!) va in tilt, e di conseguenza anche la gara.
Quindi nessun eliminato. Stasera si rifà tutto da capo.
Questo ci farà rivedere D’Alessio (Gigi ti amo!, indimenticata et indimenticabileTatangelo) e la Bertè, in coppia, altresì detti “il bulletto di periferia e la strappona agè”.

Ed arriviamo al punto centrale e cioè le canzoni.
Il primo ascolto è sempre un po’ così, bisogna farci l’orecchio, ormai lo si sa (tant’è che ho dovuto fare un po’ di ascolto sul tubo, prima di scrivere!).
Segnalo solo quello che non mi è dispiaciuto e cioè Noemi –X-Factor-made (che non si sa vestire), Samuele Bersani (classica canzone di Bersani per chi apprezza), Marlene Kuntz (snaturati con moderazione) e Nina Zilli (nel suo centro).
Fra i ni, annovero: Renga (canzone di Renga da Festival. Angeloooooo…), Dolce Nera (ma che capelli ha?), Arisa (pure lei è un po’ troppo sanremese) ed Emma-Amici-made (glamour rock forever).
Ed infine, tra i no -machetelodicoaffà- ci sono il duo di cui sopra, i Matia Bazar (non è per cattiveria, ma le loro canzoni sono tutte identiche), Eugenio Finardi (ma un taglio di capelli più consono, no?), Chiara Civello (Lei chi è? Avrebbe cantato Renatissimo), Dalla&compagno e Irene Fornaciari (ma lo sapeva di essere all’Ariston oppure pensava di essere all’okkupazione del suo Liceo?).

Come ogni anno, ormai, rimpiango il Piccione, LucaEraGay, Turutturu e i Fiumi di Parole.
Per il resto, c’aggiorniamo strada facendo.